La previdenza complementare: l’assicurazione privata per pensione
Perché è importante aderirvi?
Come ogni aspetto della finanza personale, in Italia, purtroppo, c’è ancora troppa poca consapevolezza in materia pensionistica.
I nostri nonni e i nostri padri, del resto, non hanno mai avuto esigenze tali da spingerli a informarsi su come gestire al meglio la propria posizione previdenziale.
Infatti in passato la pensione statale è stata, nella stragrande maggioranza dei casi, sufficiente per vivere dopo la fase lavorativa ed è sempre stata garantita.
Inoltre, prima degli anni 90, c’erano poche (se non nessuna) alternative alla classica prestazione pensionistica statale.
Ed è per questo che il problema della gestione della propria vita economica da pensionato praticamente non esisteva.
Ma oggigiorno il mondo è completamente diverso ed è quindi fondamentale che tu, investitore consapevole, faccia le scelte giuste anche in ambito previdenziale.
Per questi motivi oggi ti parlerò del quadro attuale e del perché sia così importante aderire ad una forma di previdenza complementare.
Perché non si può più fare affidamento sulla pensione statale?
La risposta a questa domanda la puoi trovare tu stesso se hai un discreto spirito di osservazione e se sei una persona che ama informarsi.
Lo sai meglio di me che i tempi sono cambiati e per la situazione del nostro Paese direi non proprio in meglio.
Innanzitutto, lo Stato italiano è fortemente indebitato e cresce economicamente poco.
Nel 2020, il rapporto debito/pil (cioè il debito pubblico diviso per la ricchezza prodotta in Italia) era pari a 158,9%%.
Numeri che di certo non fanno dormire sonni tranquilli se pensi che l’obiettivo dovrebbe essere pari al 60%.
Il rapporto debito/PIL aumenterà 158,9% di fine anno 2020, per passare al 153,6% alla fine del 2021.
È chiaro che questo debito enorme pesi moltissimo sulle casse statali e comporta nel presente e nel futuro dei tagli inevitabili alla spesa pubblica.
E nella spesa pubblica rientrano anche le pensioni.
Le piaghe dello stato italiano
C’è da considerare un secondo aspetto di non poco conto: l’Italia è un Paese sempre più vecchio.
L’aumento dell’aspettativa di vita (che è ovviamente una buona cosa) non è purtroppo controbilanciata da nuove nascite.
Ciò è dimostrato dal costante declino del tasso di natalità (vale a dire numero di nascite in un anno diviso la popolazione di quell’anno).
Non manca poi la ciliegina sulla torta: c’è un pessimo ricambio generazionale nella forza lavoro.
A cui si aggiunge una disoccupazione giovanile particolarmente elevata (pari, secondo l’Istat, al 29,7% nel dicembre 2020 per la fascia d’età fino ai 24 anni).
Un vero e proprio disastro se non si ha un’assicurazione privata per la propria pensione.
Cosa significa tutto questo?
Significa che la situazione lato pensioni non sarà per nulla rosea negli anni a venire.
Un sistema pensionistico statale efficiente e sano si regge, semplificando al massimo, grazie ad un corretto equilibrio tra contributi pagati dai lavoratori e le prestazioni erogate ai pensionati proprio dalla forza lavoro presente.
Putroppo però, l’Italia è un Paese con un debito mostruoso, con un tasso di natalità deludente e con poche prospettive lavorative soddisfacenti.
Quindi è chiaro che il sistema, nel lungo termine, non può essere sostenibile senza revisioni importanti.
E quali sono le soluzioni da implementare per far sì che il sistema pensionistico possa sopravvivere?
O innalzare l’età pensionabile, oppure cambiare la metodologia di calcolo della prestazione che, ovviamente, vedrà una riduzione della pensione percepita dal futuro pensionato.
Nel corso degli ultimi 30 anni si sono susseguite molteplici riforme in tal senso.
Nonostante le riforme più famose sono quelle di Dini del 1995 (che ha sostituito il meccanismo retributivo con quello contributivo), la più chiacchierata è la legge Fornero del 2011.
Queste riforme sono nate con l’obiettivo di provare a riportare in equilibrio la previdenza statale (ovviamente con un impatto significativo sulle pensioni future dei cittadini).
Quindi, dove voglio arrivare?
Se hai ben compreso la situazione, avrai capito che non potrai fare come tuo nonno o come tuo padre e affidare le sorti della tua vecchiaia soltanto all’INPS.
Ma niente panico e niente pessimismo!
Per fortuna, in nostro soccorso da diversi anni c’è la previdenza complementare.
La soluzione è quindi un’assicurazione privata per la propria pensione.
Che cosa è la previdenza complementare?
Come avrai intuito dal termine stesso, la previdenza complementare è quella forma previdenziale che va ad integrare la tua prestazione pensionistica erogata della previdenza obbligatoria.
Per previdenza obbligatoria si intende quella che per i lavoratori dipendenti e per alcuni autonomi è a carico dell’INPS.
Per te, lavoratore, la previdenza complementare si compone di una serie di versamenti di denaro che vengono in seguito investiti nei mercati finanziari.
I gestori abilitati e sottoposti alla vigilanza della COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione),investiranno i tuoi versamenti col fine di farti ottenere, al momento della pensione, una rendita mensile o un capitale rivalutato in base all’esito dell’investimento.
Questi versamenti mensili sono formati solitamente dal TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturando, da un importo fisso (o da una % dello stipendio mensile) minimo oppure scelto dal lavoratore e, per i soli fondi chiusi, da un versamento aggiuntivo definito contrattualmente in capo al datore di lavoro.
Quali sono le differenze dell’assicurazione privata rispetto alla previdenza obbligatoria per la tua pensione?
La previdenza complementare si caratterizza per il fatto che l’iscrizione a tale sistema è completamente volontaria (anche se, come avrai già capito, la tendenza è quella di aderirvi al più presto).
Attenzione: proprio perché facoltativa, non sostituisce in alcun modo quella obbligatoria in capo all’INPS o alle casse professionali.
L’altra grossa diversità la puoi trovare nei meccanismi di funzionamento dei due sistemi.
La previdenza obbligatoria utilizza il criterio della ripartizione.
Vale a dire che i contributi versati da tutti i lavoratori vengono utilizzati per erogare le pensioni di tutti i pensionati.
Ovviamente secondo dei meccanismi di calcolo che permettono la corretta ripartizione della prestazione tra i singoli.
La previdenza complementare, invece, si basa sul criterio della capitalizzazione.
In sostanza, per ogni lavoratore viene aperta una posizione individuale dove confluiscono i singoli versamenti fatti dal lavoratore stesso.
Queste somme, via via investite, infine erogheranno le rendite integrative.
Quali sono i tipi di fondi della previdenza complementare?
Esistono tre tipologie di fondi a cui tu puoi accedere con l’assicurazione privata per la tua pensione:
- fondi chiusi (detti in gergo di categoria);
- fondi aperti;
- piani individuali pensionistici (PIP).
I fondi chiusi sono costituiti grazie ad un contratto collettivo nazionale del lavoro o grazie ad un regolamento aziendale.
L’adesione a questi fondi è riservata ai lavoratori di quell’azienda o di quel determinato settore.
In genere, questi fondi sono quelli più convenienti in termini di costi, ma hanno lo svantaggio di essere legati ad una definita tipologia di lavoratori.
I fondi aperti sono invece gestiti da banche, da assicurazioni o da società di intermediazione mobiliare (SIM) e, come dice il termine stesso, sono aperti a tutti.
Questi, in linea di massima, tendono ad essere più costosi rispetto ai chiusi.
I Piani Individuali Pensionistici, infine, sono prodotti costituiti dalle assicurazioni.
Hanno sia finalità pensionistiche ma anche assicurative: sono un mix tra un fondo pensione e una polizza sulla vita.
Può essere utile per te se vuoi, in un unico prodotto, avere entrambe le componenti.
Se invece non sei interessato alla parte assicurativa o preferisci tenere i due ambiti distinti, questo strumento non fa per te.
In conclusione, perché dovresti aderire?
Oltre per quanto ti ho illustrato sopra circa lo scenario macroeconomico, aderire ad un fondo pensione complementare può darti diversi vantaggi.
In estrema sintesi:
- potrai godere di una integrazione alla prestazione statale;
- durante la tua vita lavorativa, potrai beneficiare di un piccolo importo mensile extra da parte del tuo datore di lavoro (se ti iscrivi al fondo pensione chiuso);
- potrai dedurre dalla tua dichiarazione dei redditi quanto versato nel fondo fino ad un massimo di € 5.164,57 all’anno;
- il tuo TFR investito in un fondo pensione potrà darti rendimenti maggiori rispetto alla classica rivalutazione annuale prevista;
- i rendimenti finanziari investiti in un fondo pensione sono tassati utilizzando un’aliquota agevolata (20% anziché il 26%, eccetto i Titoli di Stato);
- per le prestazioni, al termine della vita lavorativa, è prevista un’aliquota di tassazione del 15%. Essa si riduce ogni anno di appartenenza al fondo dello 0,30% successivo al quindicesimo, fino a un valore minimo del 9%.
Gli svantaggi principali, invece, sono due: dovrai rinunciare ora ad una piccola parte della tua retribuzione mensile e non potrai usare, fino alla pensione, gli importi accantonati (salvo alcune eccezioni).
Spero, in questo articolo, di averti dato gli strumenti di base per farti anche solo riflettere sulla gestione della tua posizione previdenziale.
Non sottovalutare quindi un’assicurazione privata per la tua pensione.
Ricordati, è sempre bene essere previdenti!